Quella mattina erano morte due bambine.
Nell'ampio spazio che divideva i caseggiati nessuno poteva dire per quanto tempo la bomblet era rimasta silente, ferma fra i sassi, come un predatore che fa della sua paziente immobilità l'arma efficace della sua distruzione. Il soffio delle voci delle bambine l'aveva animata, forse solo la loro presenza o semplicemente la gioia nel potersi incontrare; così l'ordigno, dotato di una propria cinica e irrazionale intelligenza aveva inesorabilmente portato a termine il suo compito.
La zona franca era stata violata.
Nessuno poteva sapere quali delle due parti era responsabile di quell'evento. Quelle morti innocenti servivano solo ad alimentare l'odio reciproco delle fazioni.
In un tacito accordo i militari, annidati nei terrazzi dietro ai lavatoi o negli appartamenti danneggiati che si fronteggiavano da una distanza di un paio di centinaia di metri, non avevano mai aperto il fuoco sui civili che transitavano in quello largo spiazzo, delimitato a oriente da un fitto bosco di lauri e lecci ferito dai colpi di mortaio e dalle raffiche della mitraglia.
All'interno del bosco serpeggiava un sentiero, anni addietro invaso dalla vegetazione, ma ormai ben delineato dal passaggio continuo delle persone che accompagnavano i loro morti dalla parte opposta dove sorgeva il cimitero. L'unico luogo che apparteneva a tutti senza alcuna distinzione. L'unico luogo giusto e accogliente di tutto il circondario in cui la morte restituiva la fratellanza perduta, dove le famiglie delle fazioni opposte s'incontravano e guardandosi negli occhi cercavano un motivo, una risposta che desse senso al loro dolore.
Il sole, al suo sorgere, illuminava le tombe sconvolte, accarezzava poi, in un modo quasi consolatorio, le cime degli alberi e poco più in là gli edifici intonacati di grigio o ricoperti da mattoni di arenaria rossa. Quando i raggi arrivavano a lambire quello spazio comune significava che il coprifuoco era cessato e qualche civile riusciva a percorrerlo frettolosamente e i bambini a riempirlo, giocando insieme, come avevano sempre fatto, ancora incapaci di chiedersi perché la ragione era stata messa a dormire.
La deflagrazione aveva colto di sorpresa Charlie e per un attimo la sua mano sinistra appoggiata al calcio del fucile ebbe un tremito mentre la mano destra si contrasse sull'impugnatura. Disteso su un pavimento di graniglia ricoperto di calcinacci aveva trovato la sua postazione di tiro al di là di uno squarcio sulla parete.
Subito dopo lo scoppio due donne erano uscite correndo dagli opposti edifici per accasciarsi vicino ai piccoli corpi. Affondarono i loro volti fra la testa e il collo delle due bambine soffocando un lamento sordo di disperazione. Altra gente accorse da ambo le parti. Camminavano lentamente sotto il peso della loro rassegnazione. Fantasmi più che esseri umani. Non dissero nulla. Nessuno sollevava lo sguardo, nessuno voleva che quegli occhi che imploravano clemenza fossero percepiti come sguardi di sfida. Le due donne aiutate dai loro congiunti portarono via i due corpicini. Altri genitori richiamarono i figli. Quel giorno lo spiazzo sarebbe rimasto vuoto, i bambini non si sarebbero incontrati, non avrebbero giocato, non si sarebbero rincorsi. La morte, con la sua pesante invisibile presenza, restava padrona.
Il momento era cruciale. Charlie sapeva che non poteva distrarsi: doveva tenere d'occhio i movimenti dei soldati. Come Karl nel caseggiato di fronte, appostato sotto un vecchio tavolo di formica. Il varco davanti a lui era molto ampio ma trovava riparo grazie alle macerie della cucina. La reazione che ebbe non fu diversa da quella di Charlie e anche lui evitò di distogliersi tornando a scrutare l'edificio di fronte.
Fu in quel momento che Charlie percepì un luccichio, qualcosa meno di un secondo, quasi un'impressione. Strinse i denti e acuì la vista. Il suo indice destro quasi fosse dotato di una volontà propria si contrasse sul grilletto. Non gli era mai successo, ma fu invaso da un turbinio di emozioni. Forse la scena a cui aveva assistito aveva fatto breccia nella parte più profonda della sua coscienza. Cosa era stato: lo sgomento delle madri? l'inaspettata manifestazione della morte che aveva rapito le bambine e aveva tolto loro ogni possibilità di vivere il futuro, bello o brutto che fosse? E poi quel luccichio? Come quella volta che era caduto in un crepaccio e gli sembrò un precipitare infinito di cui nulla si ricordava se non una luce abbagliante. Quando lo tirarono fuori e aprì gli occhi la prima cosa che vide fu il volto dei compagni di gioco e quello degli adulti che lo avevano tratto in salvo. Al di là di quei volti, aveva scorto i rami spogli degli alberi e le nubi che si rincorrevano. Il freddo della neve su cui era stato adagiato trapassava i vestiti e rendeva gelido tutto il suo corpo. Proprio come ora. Ma non c'era solo quello: scorgeva il volto sorridente di sua madre chino sulla culla e attraverso i suoi occhi poteva vedere se stesso che agitava le braccia e rispondeva al sorriso. Questi ricordi davano l'impressione di procedere lampeggiando lungo una linea di pensiero senza alcun nesso. Erano come uno sciame di stelle cadenti che si accendevano e spegnevano nella sua mente dandogli un senso di caos e affollamento. Il pensiero razionale sembrava soccombere lentamente. Quello che provava erano solo emozioni che lo invadevano tutto facendogli perdere ogni sensorialità. Poi, improvvisamente ci fu un rumore, uno scoppio ovattato e tutto si fece buio e freddo.

Karl era sicuro di aveva percepito un luccichio e la sua reazione non fu dissimile da quella di Charlie. Anche la sua mente si affollò di pensieri disordinati e provò una profonda nostalgia per i suoi amici che non vedeva da quando erano cominciate quelle ostilità. Dove erano? che facevano? li avrebbe più incontrati? Il luccichio aveva aperto nella sua coscienza un angusto passaggio dove si ammucchiavano pensieri di ogni sorta. Non c'era ordine se non frammenti di sensazioni emotive che lo trascinavano in un vortice in cui tutto pareva indistinguibile, avvolto dal freddo e dalla paura. Lo stesso freddo che stava provando Charlie in quel momento. Anche Karl aveva percepito lo scoppio ovattato e anche lui scivolò nel buio.

Lo sapeva sin da bambina, il suo nome Carola derivava dal tedesco Kart, persona libera e di questo ne era molto orgogliosa. Aveva trascorso tutta la vita in quel paese e lì era rimasta ad insegnare. Aveva smesso con l'età avanzata e ora si dedicava al bene di tutti, nessuno escluso. Quando il paese affogò in un odio cieco di cui non si conosceva la natura, Carola si presentò ai capi delle opposte fazioni:
«Chi meglio di me può conoscere queste persone, dato che ho visto generazioni crescere sui banchi di scuola?»
Carola poteva muoversi liberamente fra quella gente, non aveva bisogno di alcun lasciapassare, non era obbligata a nessun coprifuoco. Nella fioca luce ancora accesa delle loro coscienze, i combattenti sapevano che far male a Carola, ucciderla, significava perdere la memoria e il ricordo di molte persone. Riconoscendo i volti e i loro nomi restituiva loro dignità, umanità e memoria, l'unica cosa che poteva sopravvivere alla fame, alla miseria e all'odio. Qualcosa per il futuro...
Il sole, ormai al tramonto, lanciava le ombre lunghe degli alberi del bosco su un capannone adiacente al cimitero, dove una decina di cadaveri erano adagiati su un lungo tavolaccio.
«Conosco anche loro due» disse Carola reprimendo l'emozione e guardando i volti coperti di sangue di Charlie e Karl.
Il foro di un proiettile aveva perforato le loro fronti in un macabro gioco di simmetrie.
«Erano legati da una fraterna amicizia sin da bambini» disse Carola scrivendo il loro nome su alcuni cartellini di riconoscimento. «Che peccato incontrarsi in questo posto, ...neanche 20 anni!»

 

Marcello F. Turno è psicoanalista SPI, IPA e EFPP.
Ha collaborato con Gianni Notari scrivendo numerose azioni sceniche per teatro-danza, con Paolo Bianchini per la sceneggiatura di L’uomo del vento e ideato il dramma manicomiale Electra. Ha pubblicato fra saggio e fiction Il mancato suicidio di Luigi Pirandello, i racconti Storie nere in stanze d’analisi e L’ispettore Fortunato.
È giunto due volte finalista nel torneo IoScrittore. È autore di saggi di psicologia e psicoanalisi e di un manuale di psicogeriatria. Ha ricevuto il premio speciale “Moscati”, nell’ambito del “Premio Cronin 2022” per medici-scrittori.
Questo racconto è stato premiato dall'IPA e la sua versione in inglese si trova nel volume curato da C. Schmidt-Hellerau: "Mind in the line fire". In questa stessa sezione è stato pubblicato un altro racconto dell'Autore dal titolo: “Al posto delle fragole”.

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