Non importa chi fosse mio padre,
importa ciò che mi ricordo che fosse.

A. Sexton

Per un imprevisto che ha impedito a Giulio Perrone di partecipare, la serata ha avuto al centro il memoir di Rossana Campo “Dove troverete un altro padre come il mio”. Un’ospite generosa nel raccontare ciò che ha ispirato il suo libro, un vero e proprio atto d’amore verso suo padre, che nel 2016 le è valso il premio Strega Giovani e il premio Elsa Morante per la narrativa.

L’autrice ha raccontato della scrittura che scaturisce da una parte vitale di sé, che attinge al profondo e accoglie ciò che emerge. Ma la creatività che plasma questo nocciolo sorgivo, da forma ai personaggi e a una lingua che suoni autentica, che ha cura che tutto funzioni da un punto di vista narrativo, è un talento che da solo non basta, sottolinea la Campo. A volte le parti più ferite restano fuori da questa funzione trasformativa, possono essere raggiunte solo con strumenti e linguaggi diversi, come quelli di un lavoro terapeutico su di sé.

L’incontro con l’ascolto di un analista è qualcosa cui Rossana si affida con familiarità. La storia di questo babbo e della bimba che riaffiora da dentro di sé quando lui viene a mancare e lei si mette a scrivere la sua storia, è un ruscellare di immagini e ricordi del lungo travaglio di quel difficile e amoroso rapporto. Un fiume impetuoso che regala anche a noi del laboratorio di lettura.

Alimentata dalla grande passione per la letteratura fin da piccola, dalla musica, la pittura, la meditazione, la sua voglia di raccontarsi sembra approdare in modo naturale all’autobiografia, di cui la Campo si occupa da anni anche attraverso i gruppi di scrittura che conduce.

Il filo della discussione ha aperto interessanti considerazioni per noi psicoanalisti sullo specifico della lettura - oltre che della scrittura - di questo tipo di romanzi.
Se in ogni opera di finzione batte un cuore autobiografico, perché lo scrittore non può che narrare partendo da ciò che conosce e quindi, in qualche modo, sempre un po’ da sé, abitando i vari personaggi delle sue proiezioni immaginifiche, un libro che dichiari di raccontare il vero assottiglia “l’intercapedine di un’interposta persona” e il come se del piano finzionale?

Freud ci ricordava che non abbiamo modo di comprendere come accade che si dia la risposta estetica di straniamento, illuminazione, che rende un’opera individuale un universale, qualcosa che tocca nel profondo. Sappiamo che quel che risuona passa per la via identificatoria, tanto più la fruizione di un’opera artistica consente di liberare la fitta trama carsica delle nostre immedesimazioni al riparo dalla censura. Una scrittura che si dichiari ‘vera’ può modificare qualcosa – ed eventualmente come - nel portato della censura, della sospensione di credibilità e del giudizio? E l’ascolto analitico, abituato a cogliere ciò che manca al discorso, vibrerà in modo diverso se il patto con il lettore non è quello della fiction?

Il modo di funzionare del gruppo in questa serata ci ha lasciato molti spunti da elaborare e da far confluire verso una lettura più approfondita e consapevole di cosa è emerso anche dalle diverse reazioni nei dibattiti sui due memoir che abbiamo confrontato.

 

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